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Di Francesco Lolli

Questo 22 Marzo abbiamo celebrato la ventisettesima Giornata Mondiale dell’Acqua da quando nel 1992 è stata istituita in seguito agli accordi dell’agenda 21 come momento di riflessione, report e aggiornamento in fatto di risorse idriche e inquinamento da parte dei Paesi Firmatari di questo storico (e ormai dimenticato) congresso.

La storia del pianeta blu, dell’acqua come elemento primario dell’esistenza stessa della vita risale a milioni di anni fa quando da un pianeta interamente ricoperto dai mari questa è stata la culla delle prime forme di vita e come ancora lo è: I primi “pionieri” della terra ferma erano anfibi che nascevano ancora nel profondo dei mari e l’uovo altro non è che una “culla” acquatica dalla quale tutt’ora nasce la vita.

L’acqua è stata il punto di incontro di crescita delle prime comunità, che senza di essa non potevano sopravvivere e l’acqua è stata la prima autostrada per la scoperta di nuovi mondi. Poseidone è stato sempre il Dio dell’ignoto e dell’avventura, della tragedia e delle possibilità, mentre l’acqua dolce è sinonimo di vita e sicurezza: Il nostro bene più vitale e prezioso e la possibilità di stabilirsi sedentariamente, allevare e irrigare i campi, crescere.

Il 24 Dicembre 1968 venne scattata dagli uomini dell’Apollo 13 la prima fotografia ripresa dallo spazio del nostro pianeta, con scarse nubi e il sole a illuminarla di tre quarti, che diventerà famosa con il nome di Earthrise: lo “spuntare” della terra, e si percepì per la prima volta come questa fosse blu, come il mare e non la terra o l’uomo fosse l’elemento predominante e caratterizzante del pianeta, in uno splendido e abbagliante riposizionamento percettivo della nostra esistenza, del suolo che abbiamo a disposizione rispetto alla vastità del pianeta.

Di tutta quest’acqua il 97% si trova nei mari, il 2,1 % nelle calotte polari (per ora) e solo lo 0,9% in fiumi, laghi, ghiacciai ed è dolce, non salata e utile all’uomo e su questa ‘’risibile’’ percentuale fa affidamento la vita terrestre del pianeta.

Scientificamente viene definita impronta idrica la quantità di acqua consumata da una popolazione o un singolo e che va a intaccare le risorse di cui questi sono a disposizione e le necessità o settori dai quali viene consumata, ed è un equilibrio sempre più instabile.

Prima del XX secolo non si videro crisi idriche di portata importante in quanto il consumo di acqua e l’impatto delle popolazioni su di essa si limitava alla sussistenza, garantendo un naturale equilibrio ambientale in tutte le regioni del pianeta. Anche nei Deserti Africani l’acqua, si rara, era sufficiente grazie a piccoli e rudimentali accorgimenti a sostentare le popolazioni nomadi che lo abitavano.

L’industrializzazione e la dispersione di gas inquinanti nell’atmosfera, partendo dalle prime industrie a carbone fino a arrivare a oggi dove la grande industria, i motori e la rivoluzione chimica e dei trasporti hanno saturato l’atmosfera, hanno contribuito a innalzare la temperatura mondiale e dato il via a questo Global Warming che è, assieme all’utilizzo per l’industria alimentare e non (il 75% dell’acqua dolce viene adibito a zootecnica e agricoltura) responsabile della crisi idrica a cui andiamo incontro e che si è già vista manifestarsi nei decenni successivi.

L’inquinamento dell’atmosfera e l’uso smodato delle risorse critiche è un primo motivo per il quale bisogna fare tesoro dell’acqua che abbiamo bisogno, e della quale si è prima responsabili oltre che bisognosi: Le risorse idriche che già abbiamo, e i mari, sono oggi minacciati proprio da questa grande industria e dal consumo smodato di risorse e del quali sono vittime. Plastica e rifiuti non biodegradabili si sversano costantemente nei fiumi e nei mari (un camion di plastica al minuto, per rendere l’idea) e lì rimangono, aggiungendosi costantemente a rifiuti chimici e industriali e agli idrocarburi responsabili di tante crisi ambientali nei mari, e che stanno diventando il principale problema per il mare e la fauna ittica: oltre a diventare “custodi” degli scarti della terraferma i mari si stanno saturando di petrolio e derivati provenienti da catastrofi ambientali come naufragi e perdite di carburanti, incidenti o difetti (o perdite accettabili) provenienti dagli impianti di estrazione e trasporto del combustibile fossile disperdendo sulla superficie dei mari una patina untuosa e letale per l’ecosistema ittico e marino che incontra, soffocando gli uccelli e i pesci, privando l’acqua del suo naturale scambio di ossigeno con l’ambiente

Dall’acqua siamo nati e dall’acqua traiamo vita. Vediamo che è tanta e diventa difficile preoccuparsene. Ma bisogna.

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